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Fallimento Vicenza Calcio: il crack secondo Sergio Vignoni

Intervista al protagonista di alcune delle più belle pagine della storia del Vicenza Calcio che commenta il terribile momento che sta vivendo la società biancorossa

Sergio Vignoni festeggia con il team del Vicenza la Coppa Italia vinta nel 1997

Sergio Vignoni ha fatto la storia del Vicenza Calcio. Dal 1993 al 1997 in Serie A e Serie B, è stato il direttore sportivo del Lane, conquistando una Coppa Italia nel 1997. Sono passati vent'anni e sembrano così lontani dal baratro di questi giorni. 

Andando indietro con la memoria, dove individuerebbe il momento che ha dato avvio alla tragica china?

“Direi all’inizio della gestione Cassingena, in particolare dopo la malattia che colpì l’allora presidente. Impossibilitato a seguire di persona la gestione societaria, lui passò le redini a Preto e a Polato e le cose iniziarono a cambiare radicalmente. Allora il Vicenza Calcio aveva un deficit inferiore ai 5 milioni di euro, un livello fisiologico per un club cadetto, nel quale le uscite erano compensate da operazioni di mercato vincenti, tipo le cessioni di Padoin o di Rigoni. Ad un certo punto, per esautorarmi, mi affiancarono Cristallini: io non accettai e dopo uno strascico in Tribunale le nostre vie si separarono. Di lì in poi ingaggi e spese lievitarono e si perse la capacità di far mercato, tanto che in pochi anni il passivo lievitò a dismisura. Ma queste sono cose note.”

Un elemento su cui lei ha sempre battuto è stata la perdita di capacità di fare politiche sui giovani.

“Le fortune del Vicenza europeo sono state costruite anche su un vivaio che funzionava bene. Quando inizi a tirar su ragazzi promettenti ma poi li smisti troppo velocemente a grandi squadre tipo Juve o Inter, depauperi la tua società di una linfa vitale che per una provinciale è vitale. Inoltre Vicenza ha perso progressivamente l’appeal del suo settore giovanile, rinunciando ai rapporti con le società minori, fatti di aiuti, amichevoli, scambi e rispetto reciproco. Non puoi pensare che piazze importanti come Montecchio, Arzignano, Schio e Thiene ti portino i loro gioielli solo perché ti chiami Vicenza. Occorre lavorarci sopra giornalmente, altrimenti succede, come oggi, che Cittadella e Bassano vengono a rubarci i talenti sottocasa. E dire che io vado controcorrente e non affermo affatto che la leva biancorossa sia fatta ormai solo di macerie: ci sono squadre che nonostante tutto stanno facendo molto bene. Certo bisogna investire di più nella professionalità dei tecnici e promuovere i propri ragazzi, creando loro un percorso che va in alto, non in basso. Ancor oggi io mi occupo di queste cose: per conto dell’Udinese seguo una cinquantina di ragazzi stranieri che giocano in campionati esteri. Si tratta di giocatori che hanno 16 o 17 anni e che militano già nei campionati maggiori. Quanti giocatori del nostro vivaio e di quell’età ci sono quest’anno in rosa nel Vicenza? Rispondete voi…”

Che idea si è fatto della pletora di personaggi che si sono avvicinati negli ultimi anni al Vicenza?

“Partiamo da una prima cosa: chi ha tenuto in mano le redini del club, e dico tutti, erano convinti che solo perché nella vita uno è stato un imprenditore di successo, nel calcio ottiene gli stessi risultati. Si è visto che non è così. Il calcio va lasciato fare a chi lo conosce: l’azienda calcio è atipica e sbagliare è facilissimo. Ci si avvicina ad una squadra, magari blasonata come il Lane, per avere la visibilità che il mondo economico spesso non dà e poi si perde la trebisonda, com’è capitato a Franchetto. E’ facile lasciarci le penne, perché una società di serie C come il Vicenza perde milioni di euro all’anno: se non fai il salto di categoria sei morto rapidamente.”

Ma perché la situazione è stata lasciata ad incancrenire in questo modo? Di chi è la colpa se il moribondo non è stato curato per niente?

“Non c’è un solo colpevole. Certo l’informazione a Vicenza non ha fatto fino in fondo la sua parte andando a scavare tempestivamente su certe politiche suicide di bilancio o certe scelte gestionali discutibili. A Padova non so se sarebbe successo: quando ci ho lavorato io la stampa ci massacrava anche se le cose andavano bene. Credo che un equilibrio giusto avrebbe aiutato il Vicenza Calcio a non sprofondare tanto. Ma anche i tifosi non possono cavarsela scaricando le responsabilità sui giornalisti. Io sono bresciano e ho lavorato a lungo a Bergamo: posso dire con certezza che in queste piazze non sarebbero state sopportate le cose viste in casa biancorossa. I tifosi sarebbero andati a cercare casa per casa i responsabili… Non è un’istigazione alla violenza, intendiamoci. Ma qui è passato tutto quasi sotto silenzio.”

Ultima cosa. Come vede il futuro prossimo di questo nostro Lane?

“Lo vedo male, almeno da un certo punto di vista. Nel senso che per me non c’è altra prospettiva concreta che il fallimento. Si azzeri tutto e si riparta dalla serie D, come ha fatto la Spal e più recentemente il Parma. La storia, il blasone, il passato, non si cancellano e il presente riparte da zero, magari andando a giocare a Porto Tolle o a Chioggia con 5.000 tifosi al seguito. Servono nuovi dirigenti e io dico che dovranno essere vicentini. Non c’è da aspettarsi molto da proprietà cinesi o indonesiane, quelle lasciamole al calcio stellare della Uefa. Un ruolo fondamentale sarà quello del Sindaco di Vicenza, che dovrà consegnare le chiavi dello stadio solo a persone serie, che abbiano a cuore la storia della squadra e l’umiltà di far lavorare chi ne sa più di loro. Aggiungerei un invito a giocatori e dipendenti: tenete duro ancora per qualche mese. Una soluzione morbida conviene a tutti. Piuttosto che finire raminghi o senza lavoro, perché non puntare tutti assieme alla rinascita del Lane, con un fallimento morbido, pilotato? Il calcio è fatto anche di cicli. Perché non sperare in una rinascita"

Magari con Dalle Carbonare?

“Da solo Pieraldo non tornerà mai nel calcio. Ma in un gruppo, nel quale si mescolino risorse, carisma e competenze, chissà… Al cuor non si comanda!”