Cronaca

Omicidio-suicidio a Trissino: quando "i schei" contano più della vita

Sembra una storia da relegare nei nomi e nelle storie dei protagonisti. Ma non è così. È invece un campanello d’allarme da non sottovalutare

Giancarlo Rigon, venerdì mattina, era al solito bar con i soliti amici del paese. Seduto a un tavolo che giocava tranquillamente a carte. Un venerdì come tanti, fatto di battute, di uno sguardo alla Gazzetta dello Sport, di un caffè o di un “bianchetto”. Un ex orafo come tanti a Trissino.

Lo scenario

Un paese con centocinquanta aziende che lavoravano l’oro conto terzi, fino al 2007.  Dove venne registrato il primo marchio nel vicentino a fine ottocento. Un piccolo miracolo veneto. Uno dei tanti fatti di case-laboratori, di sbarre alle finestre e alle porte, di capitali prestati inizialmente dal parroco del paese o dal dottore.

Modalità d’altri tempi, quando ci si prestava l’oro tra artigiani, quando anche la banca era veramente vicino al cliente e le regole venivano scritte a seconda del bisogno. Quando il “nero” era pari o superiore a ciò che si dichiarava al fisco. Un miracolo finito con le varie crisi del settore, con la crisi finanziaria, con il crack della Banca Popolare di Vicenza. Motivi che han ridotto le ditte nel trissinese a una quindicina scarse, senza soldi per lo sviluppo e con troppi “non pagato” nelle fatture. Non era solo un ex orafo Giancarlo Rigon, era un ex orafo che avanzava dei soldi. Come tanti.   

Il debito


Poche ore dopo, le stesse mani, impugnavano e a premevano il grilletto di una pistola calibro 38. Una Smith & Wesson che usava al poligono, ma il bersaglio non era una sagoma immobile, era Enrico Faggion . Non più un nome e cognome, un volto, una persona che doveva sposarsi l’otto agosto.

Era solo “figlio di un debito”. E i debiti, che tu li debba esigere o pagare, in Veneto, sono sempre una vergogna. Sono sempre qualcosa che va ad intaccare la sacralità del dio denaro.  Due immagini diverse. Due uomini diversi all’apparenza, racchiusi nello stesso corpo e nelle stesse angosce, con risentimenti covati per anni. Angoscia che dopo l’omicidio del trentanovenne ha trovato sfogo nel suicidio stesso di Rigoni. 

In ogni modo


Sembra una storia da relegare nei nomi e nelle storie dei protagonisti. Ma non è così. È invece un campanello d’allarme da non sottovalutare. Le dinamiche, i personaggi, le modalità, le motivazioni sono replicabili decine e decine di volte. Quello che è avvenuto ieri è l’esempio di come un “sistema veneto” rischi di crollare su sé stesso, su una distorsione dovuta a dei cortocircuiti economico finanziari. Dove la distorsione è l’omicidio-suicidio, rispetto alla regola che vuole il veneto una persona che si rimbocca le maniche dopo un fallimento, e riinizia a lavorare per accumulare denaro. In ogni modo. 


E il “sistema veneto” è fatto di uomini e donne. Di famiglie. Di una cultura basata essenzialmente sul sogno della ricchezza, sulla sovrastima di quello che è il valore dei soldi. Su valori che vengono livellati sempre in basso rispetto a ciò che rappresentano i “schei”. Una formula riconosciuta e fatta propria da decenni, da una cultura del lavoro che ha travalicato il significato stesso della parola. 
E i “schei” giustificano. Giustificano tutto. Non per tutti ma per molti.

Perché i “schei” sono anche il sacrificio fatto e le ore passate chini a faticare. Per i “schei” si vive, per i “schei” si muore, per i “schei” si può anche uccidere. Una filosofia che valuta un tanto al chilo la vita di una persona, tanto quanto un chilo d’oro o una pezza di pelle. 

L'ombra delle mafie


È così che si aprono le porte anche alle grandi criminalità, alle mafie. E Trissino non è un caso che ospiti la prima interdittiva antimafia nel suo territorio. Anche se molti lo ritengono ancora impossibile sotto la bandiera di San Marco. Una non consapevolezza che deriva da una cultura basica e da un senso di “grandeur” ormai perso nei decenni scorsi. 


I fatti di Trissino non vanno letti come eccezione, sono l’incubatrice di focolai aperti in tutto il vicentino. Sono il risultato di punti di riferimento che sono venuti a mancare, come la Banca Popolare di Vicenza. Che si è trascinata nel baratro risparmi per milioni di euro, lasciando un vuoto. Non solo nei conti correnti ma nell’anima delle persone che avevano basato tutto il loro passato, presente e futuro sul risultato del loro lavoro. 


Nel bar dove Rigon ieri mattina giocava a carte, nello stesso tavolo, ci sarà un posto vuoto. Come vuoto sarà quell’altare dove doveva sposarsi Enrico Faggion. Come è vuota la vita di chi ha perso molto, a volte tutto e non riesce più a dare un peso al respiro altrui.


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