Cronaca

Pfas, verso bonifica "mini" per la Miteni

Le parole dell’amministratore delegato della fabbrica al centro dell’affaire Pfas aprono nuovi scenari. Intanto tra mille ritardi la Commissione regionale speciale dovrà re-insediarsi per avere il tempo di redigere la relazione finale

Una manifestazione alla Miteni (foto Marco MIlioni)

Che cosa si prefigura all’orizzonte del caso Pfas? Come sta procedendo l’iter per la bonifica del sito di Trissino afferente l’impianto? Che cosa sarà delle leggi nazionali in materia di derivati del fluoro e dei cosiddetti limiti ad essi relativi?

Per quanto riguarda la bonifica, almeno stando ai vertici della Miteni, l’industria chimica al centro della polemica, dovrebbero esserci importanti novità nel volgere di un breve termine. Si tratta di parole che andranno attentamente soppesate alla luce degli obblighi in capo agli enti che si stanno occupando d’una vicenda che ha risvolti penali, amministrativi e politici. Per quanto riguarda poi la querelle sui limiti, ora che le camere si sono insediate la palla passa a Montecitorio e a palazzo Chigi, ma anche il governo, pure quest’ultimo si è appena insediato, potrebbe agire d’urgenza con un decreto. Frattanto i risultati della commissione regionale sui Pfas tardano ad arrivare.

La novità 

Recentemente Antonio Nardone, amministratore delegato della spa trissinese, durante un incontro coi suoi collaboratori ha parlato delle prospettive della fabbrica, anche alla luce della recente richiesta di concordato avanzata proprio dall’azienda. Una richiesta che ha suscitato polemiche a non finire sui media.

«Noi - sottolinea il manager durante un incontro i cui contenuti non erano mai emersi nel dettaglio - stiamo avendo molti più contatti con gli enti di controllo per la bonifica... stiamo procedendo molto speditamente... ho accennato loro delle difficoltà finanziarie della Miteni... sembra che un po’ abbiano capito e stanno cercando di accelerare». Nello contesto Nardone avrebbe poi aggiunto che per quanto riguarda la caratterizzazione «... la maglia 10x10 non si farà su tutta la Miteni ma si farà solo sulla parte dell’argine» che sarebeb quella in cui «c’è più probabilità di trovare della roba». 

Parole in filigrana

Ora le parole di Nardone vanno lette in filigrana, anche per i non addetti ai lavori.

Il riferimento alla maglia «10 metri per 10 metri» riguarda i controlli che l’Arpav, nell’ambito di una inchiesta penale per inquinamento condotta dalla procura di Vicenza, sta eseguendo per capire quante e quali sostanze contaminanti siano stipate sotto il sito della fabbrica. Quest’ultima sostiene che un controllo con tante perforazioni sia inutile e dannoso perché il grosso dell’inquinamento sarebbe a ridosso degli argini del torrente Poscola che cingono lo stabilimento. Il danno deriverebbe dal fatto che le perforazioni di assaggio, in gergo carotaggi, se effettuate con una maglia stretta, ad esempio ogni dieci metri lineari, comprometterebbero la sicurezza e la produttività della fabbrica con l’inevitabile e conseguente danno economico.

I comitati sono di avviso opposto ed esortano l’autorità giudiziaria e la Regione Veneto, a effettuare controlli molto più mirati, anche entrando nei vari capannoni che costituiscono lo stabilimento: questo perché in ragione del princiio di precauzione per cui l’interesse economico deve sempre soggiacere alle questioni ambientali e di salute pubblica, ogni azione tesa a stabilire con precisione lo stato dell’inquinamento è la benvenuta.

Il che ha anche un risvolto sul piano penale visto che più è impegnativo il risanamento che gli enti preposti (possono essere la Regione tramite l’Arpav o la procura quando c’è di mezzo come in questo caso una ipotesi di reato) impongono al privato, più questo dovrà sborsare per evitare una accusa di omessa bonifica: accusa che peraltro si può materializzare solo se lo stesso privato è inadempiente rispetto ad un ordine di bonifica che però ancora non è stato impartito visto che la procedura per radiografare la quantità di inquinamento, ovvero la caratterizzazione, è ancora in alto mare.

I dubbi

Ma allora coma mai parlando ai suoi collaboratori Nardone sostanzialmente afferma che con gli enti di controllo ci sia stata una sostanziale schiarita? A che cosa e a quali enti si riferisce esattamente?

La procura della repubblica berica è a conoscenza di questa presa di posizione? E come la valuta? Ma soprattutto quanto un eventuale atteggiamento soft degli enti in questione potrebbe alla fin fine risultare provvidenziale per la Miteni a causa della stretta finanziaria che l’ha portata fino all’avvio del concordato che poi altro non è che una anticamera del fallimento? Detto in altre parole un eventuale minore esborso in termini di bonifica può essere un viatico necessario per mantenere in piedi fabbrica e dipendenti?

Oppure anche a fronte di una richiesta di bonifica “light”, che sicuramente farebbe arrabbiare comitati e ambientalisti sul territorio e sulla quale molto ci sarebbe da discutere in termini di legittimità, le maestranze comunque rischierebbero il posto? Magari perché comunque ci sarebbero esuberi? Magari perché l’intera forza lavoro della spa è a rischio?

Il silenzio del sindacato

Da questo punto di vista non è privo di peso il silenzio del sindacato. Non che Cgil, Cisl e Uil in questi mesi si siano tirate indietro sul piano delle iniziative concrete. Però quello che è mancato è stato il concerto con i lavoratori per la messa in campo di iniziative di natura legale, sia in ambito penale, sia in ambito civile.

Questa stasi avrebbe lasciato molto amaro in bocca tra le maestranze le quali in alcuni casi ritengono che molto di più si sarebbe potuto fare in termini di contenzioso, anche lasciando da parte il riconoscimento della malattia professionale che segue una strada propria e che al momento è molto incerto.

Ciò che è certo invece, almeno da questo punto di vista, è che i livelli di Pfas nel sangue dei lavoratori superano di gran lunga quello delle persone più esposte che vivono nei territori che si ritengono contaminati dai derivati del fluoro. Di più, la prova di tale contaminazione dei dipendenti, è arcinoto, è tutta lì: nelle loro vene e nei loro visceri.

I ritardi della Commissione Regionale

Ma parlando di silenzi c’è un altro silenzio che va preso in considerazione e che in queste settimane si è fatto assordante. Riguarda la commissione speciale Pfas che in seno al consiglio regionale del Veneto è presieduta da un uomo della opposizione, ovvero Manuel Brusco del M5S.

Secondo la norma regionale tale commissione, insediatasi a fine agosto del 2017 avrebbe dovuto finire i suoi lavori e pubblicare una relazione due mesi dopo, vale a dire a fine ottobre. Per motivi straordinari sono previste delle proroghe, ma da quanto emerso in laguna l’unica proroga che Brusco avrebbe accordato l’anno passato avrebbe permesso ai lavori di giungere al massimo alla fine dell’anno.

Come mai dal 31 dicembre non è stata prodotta la relazione finale? Ed è vero che la commissione, forzando in qualche maniera il regolamento, sarà riattivata perché possa completare la sua relazione?

Brusco interpellato al riguardo ha ammesso che effettivamente il consiglio regionale «riattiverà la commissione con lo scopo di approvare la relazione finale». Il consigliere nel frattempo rimarca che a suo giudizio la commissione da lui presieduta avrebbe lavorato «entro i termini di legge» ed è appunto per rispettare la norma regionale che la stessa commissione sarà «riattivata» al fine di permettere appunto la stesura definitiva della relazione.

Brusco però si limita ad una enunciazione di principio, non motivando sul piano giuridico, e nemmeno logico, il suo convincimento. E non è la prima volta che succede perché una situazione del genere si era già verificata nel novembre del 2017 quando lo stesso Brusco non fu in grado di spiegare come mai, in difformità alla norma, i verbali della commissione Pfas fossero stati secretati.

Si tratta di una situazione delicata perché tra i comitati da tempo si sta diffondendo una paura. Quella per cui in realtà la relazione finale non venga diffusa perché qualcuno teme che in quelle carte possano esserci notizie tanto scomode da compromettere la possibilità di completare un iter per la caratterizzazione e la bonifica in qualche maniera sbilanciato verso la Miteni. L’altro timore è che quelle carte, non adeguatamente asciugate, potrebbero, anche indirettamente, costituire j’accuse per quegli organi regionali che negli anni si fossero per ipotesi mostrati inerti.

Questione nazionale

Rimane ora da capire che cosa succederà a livello nazionale: soprattutto per quanto riguarda i limiti relativi ai Pfas attualmente previsti nelle acque profonde, in quelle di superficie, in discarica e negli alimenti. Si tratta per vero, almeno in alcuni casi, di limiti di performance visto che non sempre la norma è strettamente vincolante. Soprattutto non va dimenticato il monito di quei gruppi come il Cillsa i quali ritengono che la diatriba sui limiti sia una mera cortina fumogena poiché gli stessi dovrebbero essere appunto pari a zero.

Ma su questo versante che cosa farà il parlamento appena insediato? Poiché la componente più significativa della attuale maggioranza composta a Roma da M5S e Lega, ovvero la prima, in passato si espresse chiedendo al parlamento «zero Pfas», che cosa succederà a breve termine? Questo orientamento si concretizzerà con una legge che tolga di mezzo l’alea interpretativa che la norma attuale conferisce all’Istituto superiore della sanità?

In questo quadro non va dimenticato che ora proprio il M5S, oltre ad essere il socio di maggioranza della maggioranza parlamentare, si è insediato anche al ministero dell’ambiente, a quello della salute, a quello del lavoro e a quello della giustizia: sono i dicasteri che sovrintendono ad ogni sfaccettatura della vicenda, compreso il rischio occupazionale che i dipendenti stanno tutt’oggi correndo. Il problema pertanto rimane in tutta la sua gravità. Anche perché l’affaire Pfas resta, e resterà a lungo, uno dei casi di inquinamento più spinosi a livello nazionale.


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