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Valdastico nord KO, concessione Brescia Padova a rischio

Dopo lo stop al prolungamento verso Trento della Pirubi al ministero dei trasporti stanno valutando se rimettere in gara la gestione di una delle tratte più ricche della A4: cronaca di un risiko politico-economico

Uno scorcio della Pirubi, prima della interruzione a Piovene (Foto di Marco Milioni)

Con una recentissima sentenza che ha mandato in fibrillazione il gotha politico e imprenditoriale del Veneto, il Consiglio di Stato ha fatto a pezzi l’intero iter tecnico amministrativo della Valdastico nord. Si tratta della prosecuzione della A31 verso nord nella tratta tra Piovene Rocchette ed il sud della provincia di Trento. Dopo la batosta patita in giudizio da Brescia Padova su una parte della stampa regionale all’iniziale silenzio di tutto il versante politico ha fatto capolino un timido barlume di speranza. Ma si tratta, almeno per il momento, di un atto di fede, perché l’iter, come in una sorta di gioco dell’oca, è ritornato «alla casella del via». E che la corsa possa ricominciare è ancora da vedere.La stampa regionale veneta infatti ha infatti più volte posto l’accento sul fatto che l’iter potrà riprendere presto perché all’oggi la Provincia di Trento, contraria quando governava il centrosinistra, da qualche mese sarebbe diventata favorevole in ragione del cambio della guardia in piazza Dante dove ora governa il centrodestra.

LA DECISIONE DEI GIUDICI AMMINISTRATIVI

Ma per quale motivo il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di Besenello? Il piccolo comune nel comprensorio della Scanuppia in Trentino da sempre sostiene che l’opera sia antieconomica e drammaticamente invasiva sul piano ambientale. Tuttavia il Consiglio di Stato si è espresso sul piano dell’iter, bocciandolo per un motivo molto preciso : dividere l’opera in due tratte, una veneta di pochi kilometri nel Vicentino e una trentina, di altrettanti pochi kilometri a sud del capoluogo conciliare, è un escamotage pensato solo per bypassare il parere vincolante della provincia autonoma. La quale in forza del dettato costituzionale ha voce in capitolo su tutta l’opera e non solo sul passaggio a nord del confine vicentino.

QUESTIONE IN CAPO A ROMA E NON AI TERRITORI

Tuttavia la prima tessera che manca nel mosaico dei fautori dell’opera riguarda proprio l’essenza del progetto. Che oggi la realizzazione della A31 nord, il cui sbocco in Trentino è ancora tutto da pensare peraltro, sia una necessità per il Paese e per i territori devono anzitutto dirlo il governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene: magari con alcuni atti di indirizzo. La voce della Regione Veneto e quella della provincia autonoma sono sì importanti, ma da sole non bastano, sempre che Trento sia davvero favorevole, perché è lo Stato che ha questa potestà.

E allora come mai diversi media, correttamente peraltro, hanno recentissimamente riportato alcune indicazioni contenute in un dispaccio degli uffici del ministero (non diramato dal ministro Danilo Toninelli peraltro come qualche indiscrezione delle prime ore sembrava far credere)? La nota è stata diffusa a Roma il 24 gennaio e ha fatto il giro delle agenzie nazionali. Le questioni messe nero su bianco sono sostanzialmente due. Uno, «Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha preso atto e sta approfondendo le conseguenze della decisione del Consiglio di Stato che ha annullato la delibera Cipe del 2013 e sostanzialmente azzerato il progetto della autostrada Valdastico nord. L’incontro di natura tecnica tenuto oggi al dicastero tra rappresentanti del Mit e degli enti locali interessati è servito ad approfondire l’ipotesi di un progetto rispondente al dettato della sentenza». Due, «Il ministero ha chiesto alla Regione Veneto e alla Provincia autonoma di Trento di formalizzare e di trasmettere la nuova ipotesi progettuale su cui gli enti territoriali hanno dichiarato di aver trovato un sostanziale accordo».

GLI IMBARAZZI DEL M5S E LE ASPETTATIVE LEGHISTE

In questo frangente l’intero scenario va considerato in termini politici. La sentenza del Consiglio di Stato è stata accolta molto favorevolmente dalla giunta di Besenello e dai comitati che da anni si battono contro il prolungamento della A31 Nord o Pirubi nord che dir si voglia. Stranamente però sono mancati i festeggiamenti da parte dei piani alti del M5S che peraltro si era sempre schierato con comitati e associazioni. Come mai?Da diverse settimane i rapporti tra gli alleati di governo (Cinque stelle e Carroccio) sono freddi sul tema delle grandi opere. La Lega, molto vicina ai desiderata di Confindustria, sta spingendo molto su Tav, trivelle, Valdastico nord, Pedemontana veneta. I loro alleati sulla contrarietà a queste opere invece ci hanno costruito consenso e campagne elettorali. Ma ora che il Carroccio fa la voce grossa l’imbarazzo del M5S cresce. E non è un caso che l’emiliano Max Bugani, uno degli uomini più vicini al leader del M5S Luigi di Maio (quest’ultimo per inciso è vicepremier e ministro allo sviluppo) intervistato da Il Fatto il 24 gennaio in pagina 10 abbia detto papale papale: «Su Tav e trivelle non si cede. È l’identità del movimento».

Il che superficialmente può sembrare una bacchettata alla Lega. Ma se si legge in negativo fotografico quella stessa affermazione può essere interpretata come un ok dal braccio destro di Di Maio a tutte le altre grandi opere. Nel cui canestro però c’è anche la Valdastico nord. Il che fa presupporre che il vasto schieramento pro infrastrutture (Lega, Fi, Pd, parti della sinistra, Confindustria, buona parte del sindacato, mondo bancario, insomma un pezzo rilevante del gotha che conta del Paese) abbia trovato col M5S una tacita tregua. Fino alle europee non si prende alcuna decisione che conta. Dopo il voto se la Lega sale allora anche i maxi cantieri dovranno ripartire, con buona pace dei comitati e delle valutazioni costi-benefici.

Tuttavia la Valdastico nord è una storia a sé stante. Perché in questo caso siamo di fronte ad un pronunciamento chiaro del Consiglio di Stato. Il quale tanto per cominciare è immediatamente esecutivo: una teorica impugnazione per Cassazione è possibile ma potrebbe andare avanti alle calende greche. In realtà il massimo organo della magistratura amministrativa ha azzerato l’iter. Di conseguenza perché questo riparta non serve solo una generica volontà dei soggetti territoriali toccati dal progetto: Regione Veneto e provincia di Trento in primis. Serve un vero e proprio ok politico del governo che al momento non c’è stato. E il comunicato uscito dal ministero (un comunicato tecnico e non politico) è la prova lampante che il governo in questo momento è in imbarazzo e si rifiuta di assumere una posizione chiara pro o contro l’opera.

«DIRITTO INDEBITAMENTE ACQUISITO»

Cionondimeno sulla Pirubi nord c’è uno spettro che si aggira e del quale nessuno parla. E riguarda la concessione autostradale della Brescia Padova che per di più è una delle tratte più ricche della A4. Quest’ultima concessione negli anni è stata continuamente rinnovata senza che, come chiede la disciplina europea, si mettesse a gara, come se si trattasse di «una sorta di diritto indebitamente acquisito» sostengono i detrattori del progetto. E la mancata gara è stata per anni giustificata con la necessità di progettare e realizzare proprio la Pirubi nord. Questa chimera del prolungamento tra l’altro ha permesso che negli anni la Brescia Padova, un tempo una gallina dalle uova d’oro in mano agli enti pubblici, fosse privatizzata alla chetichella: con centrodestra e centrosinistra che negli anni hanno fatto a gara a creare le condizioni perché ciò avvenisse. Piano piano infatti il pacchetto di controllo è passato dai comuni, dalle province del lombardo-veneto prima a Banca intesa e poi agli spagnoli di Abertis. Che recentemente sono stati fagocitati da Atlantia, il gestore autostradale riferibile alla famiglia Benetton e a pezzi della finanza internazionale.

IL NODO DEL BANDO EUROPEO

Ad ogni buon conto l’incognita che aleggia sul progetto ha a che fare proprio con la sentenza. Poiché il progetto è stato azzerato è venuta meno la ragione unica, anzi si tratta di un escamotage con basi giuridiche friabili, in forza della quale la concessione non è stata messa a gara europea. E non è un caso che nel comunicato del ministero seppure in modo sibillino si punti un fanale proprio su questo aspetto: visto che si parla espressamente di un dicastero che è pronto «a valutare una concessione che è già da tempo in regime di proroga». In realtà le indiscrezioni che arrivano da porta Pia sono collimanti. Si vocifera infatti di una direzione degli affari generali nella quale, almeno sui tavoli di alcuni funzionari apicali, sarebbe giunto un carteggio. Un carteggio con valutazioni precise in termini di diritto secondo le quali la concessione va immediatamente rimessa a gara: pena la possibilità di incorrere nelle ire della Ue. La quale per vero in tema di concessioni pubbliche è in passato stata mossa da valutazioni più di opportunità che di diritto, come insegna la vicenda dei porti tedeschi.

INTERESSI INVISIBILI: LA GRANDE FINANZA

E tuttavia in questo contesto non può essere sottaciuta l’influenza pervasiva che i proprietari della Brescia Padova potranno far valere in qualsiasi momento. Basterà ricordare infatti le partecipazioni italiane di Black Rock il fondo di investimenti più grande del globo, noto tra gli addetti ai lavori come «l’azionista universale». In questo senso la materia è già stata sviscerata anche con un approfondimento pubblicato su Alganews.it il 30 maggio 2018. In quel servizio veniva evidenziato che «sarà sufficiente ricordare la partecipazioni di BlackRock nel Belpaese per scoprire quanto potere abbia questa corporation nei confronti del mondo economico italiano e di conseguenza nei confronti della sua società: Enel 8,12%; Atlantia Autostrade-Benetton 7,38%; Snam 8,18%; Stmicroelectronics 6,66%; Tenaris 2,5%. Se poi si sale su su verso la piramide del peso strategico degli investimenti si vede che BlackRock ha un piede in quattro pesi massimi come Banca Fineco 9,38%; Generali 2,59%; Telecom Italia 4,76%; Unicredit 2,92%. E per finire in bellezza la compagnia newyorkese possiede il 2,67% di una società strategica come Eni e il 6,17% di Banca Intesa, il primo istituto di credito italiano, uno dei primi in Europa, di cui la stessa BlackRock è secondo azionista. Ma soprattutto il fondo statunitense è titolare di una parte cospicua del debito pubblico italiano la cui entità... sarebbe segretissima: tanto che la somma esatta è gelosamente custodita da Bankitalia».

LA RAGNATELA DEL CONSORZIO RAETIA

E se non bastasse, per capire quali sono gli appetiti più di casa nostra attorno al progetto, è necessario dare una scorsa ai soci al consorzio cui Brescia Padova si è rivolto per la progettazione della A31 sud. Si tratta del consorzio veronese Raetia che al 17 gennaio 2019 risultava costituito da Technital spa, 3Ti progetti Italia ingegneria integrata spa, Rocksoil spa, Italconsult spa, Prometeo engineering srl, Italtec ingegneria srl, Sintel engineering srl.

Lo stesso consorzio si forma peraltro nove anni fa proprio con lo scopo di partecipare al bando per la progettazione della prosecuzione della A31 nord. Siamo nel 2010 il Veneto vive l’ultima fase dell’egemonia azzurra. L’era dell’ex governatore forzista Giancarlo Galan e dell’ex europarlamentare forzista Lia Sartori. I due in seguito verranno travolti dall’affaire Mose. Il primo patteggerà una pena. La seconda uscirà indenne dal processo, ma con questo finisce comunque la sua carriera politica. E comunque è proprio il Raetia ad aggiudicarsi la progettazione. I nomi di quella compagine sono di primaria importanza. Anche per via di alcune liason politico-economiche.

TECHNITAL E I LEGAMI DEL GRUPPO MAZZI

Technital che fa parte del gruppo romano-scaligero Mazzi, tra le varie, finisce invischiata proprio nell’affaire Mose. Come ricorda l’Espresso del 12 giugno 2014 quando il principale indagato per lo scandalo, si tratta di Piergiorgio Baita, comincia a parlare si aprono le cateratte del cielo ed escono le liason dangereuse con i più alti livelli. Si parla addirittura di Gianni Letta (uomo considerato lungamente dai suoi detrattori l’anello di congiunzione tra ambienti vaticani affini all’Opus dei, pezzi da novanta della finanza vaticana, servizi segreti e un pezzo che conta dell’establishment Usa), per anni uno degli uomini più potenti del Paese: «Io - fa sapere Baita - avevo la sponda a San Marino. E gli altri? Per esempio la Technital del gruppo Mazzi, che ha preso anche la progettazione della Pedemontana lombarda, ha incassato dal Consorzio tra 150 e 200 milioni di euro solo per le opere alle bocche di porto. Mazzi era il tramite fra Mazzacurati e Gianni Letta, era quello che li faceva incontrare a cena a Roma, nella casa dove hanno trovato tre quadri del Canaletto e uno del Tintoretto. E non solo le parcelle Technital non si sono mai potute discutere ma nel 2004, quando siamo entrati nel Cvn comprando dall’Impregilo dei Romiti, Mazzacurati ci ha ordinato di girare una parte delle azioni a Mazzi, in modo da essere su un piano di parità. Se no, non ci faceva entrare».

LA ROCKSOIL E LA FAMIGLIA LUNARDI

La 3ti è nota in Liguria per essere rimasta invischiata nella polemica sul nuovo ospedale Galliera a Genova. La Rocksoil fondata dall’ex ministro dei trasporti Pietro Lunardi, forzista di ferro molto vicino al leader azzurro Silvio Berlusconi. Nel 2016 una maxi inchiesta della procura di Roma sull’alta velocità manda agli arresti ventuno soggetti. Uno di questi è uno dei responsabili di Rocksoil, ovvero Giuseppe Lunardi che per inciso è il figlio dell’ex ministro. Ma nella stessa inchiesta finisce agli arresti anche un altro pezzo da novanta del mondo delle commesse pubbliche. Si tratta di Gian Domenico Monorchio, figlio dell’ex ragioniere generale dello Stato, il potentissimo Andrea Monorchio. Quest’ultimo abbandonata la giacca del di grand commiss assumerà numerosi incarichi privati, tra cui quello di vicepresidente del cda di Banca popolare di Vicenza, poi travolta dallo scandalo Zonin.

I POTENTISSIMI MONORCHIO

E tuttavia proprio Gian Domenico Monorchio è tra i protagonisti del raggruppamento Raetia. Il che lo si desume, tra le altre, anche da un lungo servizio de Il sole 24 ore del 25 luglio 2017, nel quale si parla della Sintel di Giandomenico Monorchio: una tra le imprese finite nelle maglie della operazione Amalgama «sulle presunte manipolazioni dei subappalti nelle grandi opere italiane».

BEVILACQUA: SICILIA, ROMA E VENETO PASSANDO PER INTESA

Nell’ambito di Raetia non meno pesante è l’apporto di Italconsult. Da questo punto di vista può tornare utile una lunga inchiesta de L’Espresso del 30 marzo 2015. Il titolo del servizio la dice lunga: «Appalti, come arricchirsi con l’uno per cento». In quelle pagine vergate dal giornalista Gianfranco Turano compare giustappunto il nome di Italconsult e del suo dominus, l’ingegnere Antonio Bevilacqua detto Nino. Il professionista negli anni è diventato uno dei signori incontrastati nella progettazione di opere pubbliche del Belpaese. Gli incarichi non si contano: dalla Palermo-Messina alla Catania-Siracusa, un lotto del raccordo anulare di Roma e due della Salerno-Reggio Calabria, il ponte di Ortigia e quello sul Simeto come ricorda Repubblica del 16 marzo 2010). In Sicilia poi è nota la vicinanza di Bevilacqua a Gianfranco Micciché, già plenipotenziario di Berlusconi in terra di Trinacria. Mentre a Roma lo stesso Bevilacqua è da tempo vicino all’ex plenipotenziario di Berlusconi in Toscana Denis Verdini, poi uscito da Fi e noto per essere finito in diverse inchieste giudiziarie tra cui quella per la cosiddetta P3. E ancora per Bevilaqua in passato c’è stato il sostegno di un altro siciliano doc, ovvero l’ex senatore del Pd Giuseppe Lumia nonché dell’ex ministro dei trasporti il centrista già azzurro poi Ncd Maurizio Lupi.

Ma uno degli appoggi più solidi a Bevilacqua deriva dagli assetti azionaria della sua Italconsult che vede come socio strategico al 10% addirittura Banca intesa. Dalle parti di Roma da tempo si vocifera che la presenza di Italconsult nella veronese Raetia sia un modo per Bevilacqua per allargare la sua presenza dalla Sicilia al nordest. E sarà un caso me nel servizio di Turano compare anche un altro nome di peso. È Stefano Perotti. Si tratta dell’ingegnere soprannominato «mister piglia-tutto» per via dei numerosissimi incarichi di direzione lavori avuti in giro per l’Italia.

Il suo nome cade in disgrazia quando finisce nel cosiddetto affaire Incalza, un altro affare torbido che riguarda le grandi opere tra cui anche la  Tav Brescia-Verona. Quando esplode lo scandalo (che lambisce anche la famiglia dell’allora ministro Lupi) tra l’altro Perotti mentre viene arrestato ricopre pure l’incarico di direttore dei lavori della Pedemontana veneta: tuttavia l’arresto, sul piano penale, nulla ha a che fare con quell’incarico.

MANTOVANI, I CHIAROTTO E CL

Se poi si guarda alla storia di Raetia si scopre che tra i suoi ex soci (con tutto ciò che ne consegue in termini di retaggio di interessi) figura anche la  Hydrostudio consulting engineers srl di Rovigo. La quale era una parte della galassia della società di ingegneria Mantovani. La Mantovani, guidata per anni proprio da Baita, è stata una delle protagoniste dello scandalo Mose. Di più, la società per anni è stata nelle mani della famiglia Chiarotto. Una delle famiglie di imprenditori più in vista del Padovano, con solidissime vicinanze alla Deltaerre, uno degli snodi più importanti della finanza veneta, alla galassia della Compagnia delle opere nonché alla galassia di Comunione e liberazione.

LA DONAZZAN ATTACCA LA MAGISTRATURA

Cl peraltro può vantare in seno alla giunta regionale del Veneto sull’idem sentire e la prossimità culturale di uno dei membri più in vista dell’esecutivo, ovvero l’ex forzista Elena Donazzan. E sarà un caso, o forse no, che proprio Donazzan sia l’unico esponente della giunta che abbia commentato, in modo negativo nello specifico, la recente sentenza del consiglio di Stato. E lo ha fatto attaccando in modo pesantissimo i magistrati amministrativi, arrivando a dire che questi dovrebbero essere «chiamati in causa per danni» proprio in ragione di quella sentenza. Poco importa che nel distillare quella dichiarazione davanti alle telecamere di Focus, popolare talk show di Rete veneta andato in onda il 22 gennaio, l’assessore non abbia spiegato, in diritto, perché quella sentenza non andasse bene. Di questa sua défaillance e delle sue possibili liasion culturali con Cl le avrebbe potuto chiedere conto il conduttore della trasmissione, il direttore di Rete veneta Luigi Bacialli. Ma così non è stato. Anche le opposizioni a palazzo Ferro Fini si sono ben guardate dal criticarla.

IL FRONTE DEL NO TORNA A RIUNIRSI

E mentre la politica veneta rimane in silenzio (zitta la Lega, zitto il Pd, zitto anche il M5S al netto di qualche isolato pigolìo nei rispettivi partiti) sono i comitati o gli amministratori locali, anche trentini, a far sentire la loro voce. Luca Canale, uno dei volti storici del movimento No Valdastico nord nel Vicentino ha le idee chiare: «Vorremmo far notare che fra le controparti rispetto al giudizio che era pendente avanti al Consiglio di Stato, si era costituita la sola società autostradale, mentre ministeri, Regione veneto e provincia autonoma di Trento non si sono neanche costituiti in giudizio. Sicuri di vincere, sicuri di perdere o conferma implicita che quello da difendere non era un interesse pubblico ma solo quello di una società privata? Questo ennesimo stop, dopo l'analogo parere negativo del Consiglio superiore dei lavori pubblici - rimarca l’attivista - comporterà presumibilmente un azzeramento in toto del processo approvativo, i cui tempi possiamo stimare in anni se non oltre».

Non va per il sottile nemmeno Roberta Rosi, vicesindaco di Besenello, in una giunta che è espressione d’una lista civica: «Non possiamo che essere soddisfatti della sentenza emessa dal Consiglio di Stato, la quale conferma i dubbi sull'opera da noi espressi in tanti anni. «Si tratta - prosegue Rosi - di un pronunciamento importante sia per chi crede nello stato di diritto e nel valore del paesaggio nonchè dell'ambiente. In questo senso ci sentiamo di ringraziare - prosegue il vicesindaco - tutta l'amministrazione, i nostri consulenti tecnici, i legali e soprattutto la cittadinanza che ha sempre condiviso le nostre scelte». Il riferimento alla cittadinanza non è casuale visto che il fronte degli scettici nei confronti dell’opera tornerà a riunirsi il 28 gennaio a Rovereto, nell’auditorium della frazione di Marco. L’incontro, che inizierà alle 20,30, avrà in agenda proprio la recente sentenza del Consiglio di Stato.


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