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Miteni, «la bonifica non è ancora partita»

A margine dell'ultima udienza del processo Pfas a carico degli ex manager della fabbrica trissinese gli attivisti puntano il dito sulla sciarada in corso per il risanamento ambientale il quale sarebbe in alto mare: tra le incognite sul prosieguo dell'iter giudiziario ci sarebbero poi alcune responsabilità per le quali un pezzo della galassia ecologista avrebbe chiamato in causa anche la Regione Veneto

Al centro della foto Giorgio Destro, uno dei legali delle associazioni No Pfas (repertorio Today.it, foto foto Marco Milioni)

Dopo l'ennesima udienza preliminare nell'ambito del processo Pfas che si è tenuta ieri 30 novembre davanti al tribunale di Vicenza, la galassia ambientalista è in fermento: il timore, al di là del processo è quello che la bonifica ambientale si incagli tra pendenze passate e partite legali ancora in divenire. Frattanto rimane da capire se il processo che vede accusati tra gli altri diversi ex manager della trissinese Miteni, additata per avere causato un inquinamento di vastissima portata che avrebbe contaminato con alcuni derivati del fluoro (i temutissimi Pfas) il Veneto centrale, ingloberà altri due filoni di indagine: uno sulla bancarotta della società, l'altro sull'inquinamento addebitato ai Pfas di seconda generazione meglio noti come GenX e C6O4.

I GESTORI
Terminata l'udienza lampo, con la quale si rinvia ogni decisione al prossimo appuntamento, previsto per la fine di gennaio dell'anno prossimo, ieri i primi a farsi sentire sono stati i gestori del ciclo integrato dell'acqua nei territori che lambiscono il Veronese, il Vicentino e il Padovano. «All'udienza preliminare del processo - si legge in una nota redatta ieri da Acque veronesi, Acque del Chiampo, Acque venete e ViAcqua, è emerso che la procura di Vicenza ha disposto la richiesta di rinvio a giudizio per otto imputati accusati a vario titolo dei reati ambientali avvenuti tra il 2013 e il 2017».

Si tratterebbe, sostengono i gestori, del cosiddetto filone Pfas bis. Gli otto imputati, si legge ancora, «sono accusati di aver immesso nelle acque sotterranee il rifiuto pericoloso contenente GenX... e C604. Gli imputati con le loro condotte avrebbero inoltre provocato un deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee al sito Miteni. Per quanto riguarda il reato di bancarotta, di cui sarebbero tenuti a rispondere in sette, l'accusa è di aver aggravato il dissesto della società di Trissino, con perdite per quasi 15 milioni di euro tra 2010 e 2017».

Nella prossima udienza che si terrà il 25 gennaio alle ore 10, «il giudice Roberto Venditti si pronuncerà in merito alla eventuale riunione dei due procedimenti, Pfas-1... che è già nella fase di udienza preliminare... e per Pfas-bis. Presenti all'udienza le difese delle società idriche Acquevenete, Viacqua, Acque Veronesi, Acque del Chiampo, che da tempo - si legge ancora nel dispaccio - si sono affidate agli avvocati Angelo Merlin, Vittore d'Acquarone e Marco Tonellotto, con l'obiettivo di ottenere il risarcimento del danno provocato dall'inquinamento da Pfas e altre sostanze, presentando ai responsabili il conto dei lavori di ripristino e bonifica che le società si sono accollate in questi anni». Sull'argomento peraltro non più tardi del 27 novembre era pure intervenuto il Consiglio di bacino del Chiampo.

LA BORDATA
Tuttavia a margine del processo è intervenuto anche Alberto Peruffo uno dei volti storici della rete ambientalista del Vicentino. Peruffo ha espresso tutte le sue perplessità in relazione alle lungaggini che, nonostante alcuni passi avanti di questi ultimi giorni, starebbero anchilosando sia l'iter per la caratterizzazione del sito e del suo sottosuolo (ossia l'indagine che ne fotografa il vero stato dell'inquinamento, ad oggi ancora ignoto), sia l'iter per la bonifica vera e propria la quale però non può prescindere dalla caratterizzazione. Ma Peruffo va oltre e paventa altri timori. Primo tra tutti quello sul reale stato di salute della catena alimentare dei territori compromessi dalla contaminazione da Pfas. Tanto che sulla sua bacheca Facebook l'attivista di Montecchio Maggiore spara a palle incatenate: «Nel mentre la bonifica del sito Miteni non è ancora partita seriamente, le analisi sugli alimenti ancora mancano». Appresso Peruffo, uno dei più noti scalatori del Vicentino, ricorda anche il sospeso che la società, oggi fallita deve ancora ai dipendenti: «Gli stessi operai licenziati in tronco con il concordato fallimentare non hanno ancora ricevuto il dovuto a causa di una rivalsa della Regione Veneto». In quel contesto Peruffo ricorda la storia di Stefano De Tomasi, ex dipendente della Miteni che ai microfoni della Rai si è molto lamentato di un procedimento che va avanti «così lentamente».

Parole al vetriolo cui si aggiunge anche una scudisciata nei confronti della magistratura della città del Palladio: «Tutti temporeggiano. Procura compresa... Dall'inizio di ottobre» si è giunti «a fine novembre e ora a fine gennaio. Vediamo cosa succede il 17 di dicembre. Quando toccherà a noi». In quest'ultimo caso la stilettata polemica riguarda una lamentata doppia velocità che starebbe caratterizzando i magistrati della città del Palladio. Peruffo ed alcuni attivisti infatti sono a processo perché durante una delle tante manifestazioni No Pfas, in violazione al testo unico di polizia, non avrebbero comunicato la loro iniziativa alla questura. I tempi di questo processo, incalzano gli attivisti, sarebbero stranamente rapidi se rapportati a quelli del caso Miteni.

LIASON REGIONALI E NON SOLO
Ma quali sono le cause di un procedimento che viene rinviato così spesso? Tra gli attivisti le spiegazioni abbondano. Alcune riguardano la complessità oggettiva delle indagini, altre però rimandano a circostanze tutte da decifrare. Tra coloro infatti che hanno denunciato alla magistratura l'esistenza della contaminazione in una con i suoi effetti c'è l'associazione ambientalista internazionale Greenpeace. Greenpeace Italia però non si è limitata solo a prendere di mira l'inquinamento, ma col su legale Alessandro Gariglio ha messo nel mirino anche gli enti pubblici, Regione in primis che non avrebbero sufficientemente vigilato sulla materia. Lo stesso aveva fatto l'associazione padovana la Terra dei Pfas, arrivando a chiedere, con l'avvocato Giorgio Destro (al centro della foto), il sequestro della fabbrica ben prima che fallisse. Ora se molto è stato detto sui filoni uno e bis come molto è stato detto sui reati fallimentari poco o nulla si sa di eventuali sviluppi per responsabilità in capo agli enti pubblici. Se dovessero essere riuniti il primo filone, il secondo, nonché quello sui reati di natura economica, perché non potrebbe allora essere riunito anche un eventuale quarto filone? La cosa chiaramente potrebbe avere uno sbocco del genere solo se le indagini sull'operato degli enti pubblici avessero viaggiato spedite. Se però fossero state archiviate o se fossero ai primi passi allora chiaramente questi vagoni non potrebbero agganciarsi al treno giudiziario in partenza a da Borgo Berga. Il che potrebbe essere un problema se emergessero connessioni di un certo tipo tra le condotte degli ex manager e quelle degli enti pubblici tenuti alla vigilanza ambientale (un problema sollevato tra gli altri dal M5S anche con segnalazioni alla magistratura).

IL MONITO DI GUARDA
E probabilmente non è un caso che il consigliere regionale veneto leoniceno Cristina Guarda (milita tra i Verdi, nelle fila dell'opposizione) oggi abbia diramato una nota molto puntuta in cui accende i riflettori proprio su palazzo Balbi: «Da anni mi batto affinché la verità su quanto avvenuto emerga e mi impegno a fianco ai tanti cittadini attivi, che ringrazio, perché vengano accertate le responsabilità di chi ha messo in serio pericolo la salute di noi cittadini della Zona Rossa e delle aree limitrofe. Ma lo faccio anche per evidenziare un messaggio che giunge a tutti i rappresentanti politici e anzitutto alla Regione Veneto». Poi la randellata che la dice lunga su quanto Guarda consideri compromessa la situazione: «L'esperienza Miteni... deve obbligare ad effettuare maggiori controlli sulle attività produttive e assicurarsi che eventuali operazioni di bonifica avvengano in tempi utili... Per questo esortiamo la Regione, dato che l'inquinamento interessa ben quattro province a non abbassare la guardia e ad inserire nell'anagrafe dei siti da bonificare, pubblici o privati, anche Miteni. A meno che» sempre la Regione Veneto «non ritenga opportuno» che quello di Trissino «diventi sito di interesse nazionale, al pari di «quello di Marghera»: uno dei più inquinati d'Europa.


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