Attualità

Tolkien, l'ambiente e il Nordest

Nell'Ovest vicentino, un territorio afflitto dalla pesante pressione dell'industria sull'habitat, il coordinamento ecologista Covepa prende spunto dall'ultima fatica del saggista Paolo Nardi per esplorare il tema della salvaguardia «del creato» nell'opera dello scrittore britannico: del quale in queste settimane cade il cinquantennale della morte

da sinistra a destra Massimo Follesa e Paolo Nardi

Esiste un nesso tra il pensiero ecologista e l'opera dello scrittore britannico John Tolkien? L'associazione ambientalista veneta Covepa, molto attiva sul tema del consumo del suolo e delle grandi opere, ha provato ad affrontare l'argomento durante un incontro con il saggista veronese Paolo Nardi ieri 25 ottobre alla sala civica Ceccato a Montecchio Maggiore. Nardi, che di recente ha pubblicato per i tipi di Fede e cultura «Alla scoperta della terra di mezzo: mito e linguaggio nell'opera di J.R.R Tolkien» aveva lambito a più riprese la questione durante la presentazione del libro nella città di Giulietta e Romeo non più tardi della fine di settembre.

Il quadro di riferimento dal quale è partito Nardi, mestrino d'origine ma veronese d'adozione, viene tratteggiato da Claudio Antonio Testi nella prefazione del libro: «La modernità di Tolkien - scrive Testi - va cercata nella assimilazione... nel suo mondo fittizio di eventi ed istanze caratteristici della storia del Novecento».

«I LUOGHI ATRI»
E così ironizzando col moderatore della serata, l'architetto Massimo Follesa, vicepresidente del Covepa, si è parlato di alcuni siti simbolo («i luoghi atri») della pressione antropica dell'uomo sul Veneto: dal polo petrolchimico di Marghera e di Fusina, ai distretti chimico-conciari dell'Ovest vicentino, alle grandi opere come la Superstrada pedemontana veneta Spv in cui «la cementificazione e il consumo di suolo - rimarca l'architetto Follesa - l'hanno fatta da padrone». Nardi, fonti alla mano, tra opere di Tolkien e lettere dello scrittore inglese, ha de facto aperto una finestra sull'ecosistema «nelle opere tolkeniane» ovvero quella «Terra di mezzo» che pur traendo spunto dal nostro vissuto «ne deriva ma non dipende», forte di una sua autonomia intrinseca, dalla realtà.

IL DISTRETTO PRODUTTIVO DI ISENGARD, LA NO MAN'S LAND DI MORDOR E LA GENTRY DELLA CONTEA
Perciò se «a Isengrard» lo stregone Saruman nel costruire il suo dominio sottomette la natura dando vita ad un quadro immaginario che per certi versi somiglia al degrado dei complessi industriali e minerari del Regno unito durante la rivoluzione industriale, le lande desolate di Mordor, «il regno di Sauron il lord oscuro» uno degli antagonisti più importanti del Signore degli anelli, assomigliano non poco «alla no man's land, alla terra di nessuno» tra le trincee nemiche della prima guerra mondiale: funestata da colpi letali di arma da fuoco, gas venefici, esplosioni. Si tratta di un unicum particolare in cui per la prima volta, rimarca Nardi, nella storia dell'umanità «i soldati vanno a morire al fronte facendo i turni come se fossero in fabbrica». Non è mancata la descrizione, tra le tante, delle terre immaginarie «della Contea» per certi versi assimilabile ad un brano della campagna inglese abitata da contadini e nobiltà agraria: quest'ultima una sorta della «gentry inglese».

QUESTIONE CENTRALE
Ad ogni modo Nardi ieri, in due ore fitte fitte dalle 21 elle 23, incalzato da Follesa, ha snocciolato uno dopo l'altro riferimenti alla letteratura anglosassone, alla cinematografia, alla mitologia, alla tradizione cattolica: anche perché «Tolkien, linguista ed accademico, era un fervente cattolico che per di più assai da vicino vide le atrocità il primo conflitto mondiale». E con queste premesse sullo sfondo Nardi ha spiegato come sia innegabile che il professore di Oxford criticasse parecchi aspetti dell'industrialismo. Ma questo fa di Tolkien una sorta di proto-ambientalista?

IN PUNTA DI PIEDI
Le cose non stanno proprio così. In questo frangente il saggista scaligero (che ha un canale YouTube molto seguito in cui è stato pubblicato l'audio della serata di ieri), «dimostrando una padronanza di eccellente spessore sulla materia», questo il commento dell'uditorio, ha puntualizzato un paio di concetti molto precisi. «Tolkien non è un autore» etichettabile à la carte, «che offre risposte confezionate pronto uso. Tolkien è un autore che pone questioni aperte, ossia è problematico. Ci spinge alla riflessione, alla valutazione e ci obbliga a confrontarci con le conseguenze del nostro agire anzitutto sul piano della morale».

E tant'è che Nardi sembra fare riferimento anche al filone fecondo della riflessione filosofica e teologica tomistica: ossia quella ascrivibile a San Tommaso d'Acquino. Di più, non sembra essere un caso per l'appunto che l'autore della prefazione dell'ultima fatica dello scrittore veronese, sia proprio Testi: filosofo e saggista, quest'ultimo è anche un docente molto noto dello «Studio filosofico domenicano» di Bologna nonché cofondatore dell'Istituto italiano per gli studi tomistici.

NO A SOLUZIONI «SEMPLICISTICHE»
Epperò per dimostrare come Tolkien, «un autore mai manicheo, pervaso da una concezione universalista e non settaria della sua opera» non ami offrire una soluzione semplicistica bensì preferisca un approccio problematico, Nardi che è anche capo-redattore presso la casa editrice Fede e cultura, ieri come in altre occasioni «non ha mai espresso opinioni in modo aprioristico». Bensì, così l'apprezzamento del pubblico, «le ha sempre motivate» citando l'immaginario tolkeniano attorno al quale ha tessuto un filo logico ininterrotto dall'inizio alla fine della serata. Sulla scorta di questa falsa riga Nardi ha parlato dei valori e delle aspirazioni degli elfi, degli orchi, dei nani, degli uomini illustrando per sommi e densi capi la concezione della natura di ciascheduna delle stirpi che anima l'immaginario dello scrittore inglese.

PARALLELISMO CON LA REALTÀ
Forte di questa panoramica Nardi, ha imbastito un parallelismo con la realtà. Ha cercato di leggere tra le righe e non solo il punto di vista del professore britannico scomparso nel 1973 «del quale oggi si ricorda il cinquantenne della morte». E ha spiegato come in relazione alla tematica del rispetto del creato, che con l'enciclica di Papa Francesco sulla natura è entrata prepotentemente anche nel dibattito in seno al mondo cattolico, non esista in Tolkien un modello definitivo. Ovvero non c'è una panacea dietro l'angolo per la soluzione dei problemi: tanto che fra le stirpi o le specie che popolano i suoi libri non ne esiste una completamente pura e una completamente corrotta.

IL RAPPORTO COL POTERE, L'HYBRIS E L'EREDITÀ GRECA
Sia nel rapporto col creato sia nel rapporto con il potere lo scrittore di Oxford, secondo Nardi, ci insegna che l'approccio probabilmente più fecondo è quello della rivalutazione la più autentica del senso del limite. Appresso sono seguiti numerosi esempi dalle opere dello scrittore britannico. Il saggista però allo stesso tempo fa sapere che nell'ottica di Tolkien, per venire virtuosamente a capo di un problema, che questo abbia o meno a che fare col creato poco importa, occorre prendersi cura di quella questione ovvero «tenerci fino in fondo: o se si vuole averla davvero a cuore». In questo solco Nardi, sempre tra un parallelismo e l'altro e senza mai dimenticare alcuni spunti essenziali della riflessione tomistica, ha aggiunto un altro tassello al suo mosaico.

IN GUARDIA DALLE MIGLIORI INTENZIONI
Ma in che modo Nardi aggiunge questo tassello? Lo fa quando spiega che in qualche modo Tolkien «ci mette in guardia da chi pur animato dalla bontà dei propri fini ritiene lecito qualsiasi mezzo o qualsiasi compromesso per raggiungerli». Ancora una volta l'autore veronese, pur con tanti distinguo, ha così distillato l'ennesimo parallelismo identificando nel mago Saruman (e non «nel più conosciuto dei cattivi Sauron») l'emblema della deriva tecnocratico-capitalista che la società, specie occidentale, avrebbe abbracciato da decenni. Una deriva che in qualche modo è caratterizzata dall'asservimento o dal pervertimento se si vuole del fine al mezzo.  

UNA AMMORSATURA CON LA TRADIZIONE GRECA
Peraltro la nozione del senso del limite, «uno dei topos» più importanti della tragedia greca, il quale considerava virtuoso chi cercava di non cadere nel giogo dell'hybris ossia della dismisura tracotante, nel '900 venne ripresa dal sociologo austriaco di matrice cattolica Ivan Illich. Il quale sul tema del rapporto tra senso del limite e creato a sua volta ha dato un forte impulso nella ricerca del filosofo ed economista francese Serge Latouche. Che appresso ha identificato «nella decrescita conviviale e condivisa» un percorso possibile «per evitare che il modello di sviluppo basato su industrialismo e finanziarizzazione dei rapporti non solo economici, ma pure sociali, metta a rischio la base biologica, ecosistemica e antropologica su cui poggia il genere umano» ha spiegato Follesa a margine della serata conclusasi ieri poco prima della mezzanotte.

ASCOLTA LA REGISTRAZIONE DELLA SERATA CON PAOLO NARDI


Si parla di