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L'impianto di Veritas «brucerà anche i temibili Pfas»

A Mira un coro di no accoglie la proposta per un inceneritore che dovrebbe sorgere nella vicina Fusina. I comitati sono sul piede di guerra: «Lì arriveranno rifiuti da mezza Italia, i comuni dicano no». Durante la serata si è parlato anche del collettore industriale dell'Ovest vicentino

il biologo padovano Gianni Tamino

Tra le sostanze che finiranno nell'inceneritore che la società Ecoprogetto Venezia srl intende realizzare nel sito di Fusina-Venezia finiranno anche i Pfas che si trovano in «grande abbondanza nelle discariche di tutto il Veneto». L'appello accorato è del professor Gianni Tamino, già ordinario all'università della città del Santo, uno dei luminari della biologia in Italia. In realtà quella del docente padovano è una delle tante grida d'allarme che sono state lanciate ieri 30 ottobre a Mira durante un incontro pubblico organizzato dalla rete ambientalista Opzione zero, comitato molto radicato sulla Riviera del Brenta.

Sul tavolo dei relatori ieri, nella cornice di villa Contarini dei Leoni appunto a Mira nel Veneziano, c'era anche Mattia Donadel che con il supporto di Tamino e di un gruppo di studio messo in piedi dal comitato, ha fatto le pulci alla «Valutazione di impatto ambientale» che la società Ecoprogetto ha indirizzato alla Regione Veneto che potrebbe approvare o respingere «in tempi più o meno brevi». Più nel dettaglio il piano riguarda la riapertura di uno stabilimento già esistente, la struttura però andrebbe incontro a trasformazioni così radicali da essere considerata a tutti gli effetti una nuova realizzazione. Ad ogni buon conto «quell'inceneritore - spiega Donadel ha una capacità smisurata, non commisurata con le necessità di un Veneto che con l'eccezione del Rodigino e di Venezia città vanta ottime performance in termini di raccolta differenziata. Motivo per cui che senso ha realizzare un impianto da cento milioni se non quello di bruciare rifiuti che provengono dio solo sa da dove e che contengono dio solo sa quali sostanze?». In questo conteto molti attivisti in molte occasioni hanno tuonato contro l'ipotesi che a Fusina possano bruciare anche i fanghi del distretto onciario dell'Ovest vicentino per i quali le discariche locali secondo Confindustria stanno andando a saturazione. «Questa ipotesi circola da tempo e noi, se dovesse verificarsi, la respingiamo al mittente perché non accettiamo che Arzignano scarichi sulle nostre comunità i suoi problemi che invece vanno risolti a livello di cicli industriali. I fanghi non si inceneriscono né qui né altrove» questo era alla grossa il mood di coloro che erano intervenuti per ascoltare i relatori.

Non meno duro è Tamino il quale spiega che «è da cinquant'anni che si costruiscono inceneritori quando è da cinquant'anni che la comunità scientifica dimostra che sono dannosi». E ancora: «basterebbe cambiare i cicli produttivi e adottare una filiera virtuosa ed il gioco è fatto; è lo stesso rifiuto che non dovrebbe più essere prodotto: però produzione dell'energia e smaltimento sono affari tanto impattanti quanto lucrosi. Che senso ha - spiega ancora lo scienziato - inneggiare a Greta ogni secondo se poi non siamo nemmeno in grado di dire no ad un inceneritore che porta con sé una concezione dello smaltimento vecchia di mezzo secolo?».

La platea, un centinaio i presenti per una sala stracolma, più volte ha fatto presente ai relatori ansie e perplessità rispetto al progetto. Tra le tante c'è proprio quella relativa alla eventualità che si bruci «il percolato contenete i temibili Pfas» i composti chimici prodotti dalla trissinese Miteni la quale è al centro di un caso di contaminazione da derivati del fluoro che ha colpito il Veneto centrale. «Che cosa succede quando i Pfas vengono bruciati?». Questo a più riprese si è domandato l'uditorio. E la replica di Tamino non si è fatta attendere: «La cosa che ci preoccupa è che non lo sappiamo perché durante la combustione di quelle sostanze si generano reazioni chimiche che non sono mai state studiate in maniera adeguata».

Il professore poi a margine dell'incontro è intervenuto anche su un'altra vicenda. Quella che riguarda la prosecuzione del collettore dei reflui di lavorazione della concia e della chimica dell'Ovest vicentino. Il collettore attualmente lambisce Cologna veneta nel Veronese. Il progetto di Arica, il consorzio che lo gestisce, è quello di spostare a valle di 3,5 kilometri l'immissione nella rete fluviale del comprensorio. «Mi domando che senso abbia una cosa del genere se non si risolve a monte il problema che genera quell'inquinamento» fa sapere Tamino.

Donadel dal canto suo ha posto l'accento anche sull'assetto societario di Ecoprogetto. Che vede quale socio di maggioranza Veritas, ovvero la municipalizzata del Comune di Venezia. E come socio operativo di minoranza il gruppo privato Mandato. Quest'ultimo compare anche come socio di minoranza, ma con peso preponderante, in Sesa, la municipalizzata di Este che alcuni mesi fa è finita nell'occhio del ciclone per via dello scandalo dello spargimento nei campi della Bassa padovana di materiale sospetto proveninete dai fanghi di riciclo dei suoi stessi impianti. «È uno scandalo che la giunta comunale di Venezia non abbia proferito parola rispetto al progetto di Fusina. È vero - puntualizza Donadel - che quella località ricade nel comune di Venezia, ma è altrettanto vero che i fumi e le microparticelle nocive che da lì si sprigioneranno, finiranno anche nei comuni contermini. Per questo anche il silenzio dei sindaci dell'hinterland è scandaloso. Fermo restando che non daremo un attimo di tregua alla galassia Veritas-Mandato e che siamo pronti sin da ora - precisa l'attivista - anche a ricorrere alle vie legali, abbiamo intenzione di chiedere ai parlamentari veneti della maggioranza di impegnarsi perché sia modificata la legge nazionale affinché questi ecomostri non siano più consentiti dalla norma».

ASCOLTA L'AUDIO-INTERVISTA AL PROFESSORE GIANNI TAMINO
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