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Caso Pfas, la Regione doveva intervenire già dal 2005

Lo ha scoperto Vicenzatoday.it nella sua inchiesta consultando alcune carte di Arpav e del Genio. Frattanto trapelano anche i dettagli della maxi multa alla Miteni. Il Noe: comportamenti omissivi dall’azienda

La Regione Veneto ed il Comune di Trissino già dal 2005 sapevano di una possibile contaminazione su vasta scala sotto i terreni della Miteni, con tutti i rischi che la cosa avrebbe potuto comportare, anche per l’acqua potabile. Che cosa gli enti pubblici abbiano o non abbiano fatto negli otto-nove anni precedenti alla deflagrazione del caso Pfas dovrà essere la magistratura ad accertarlo, quanto meno per ciò che pertiene agli aspetti penali. Certo è che la commissione regionale Pfas pur avendo avuto un’imbeccata per approfondire eventuali responsabilità da parte di uffici ed agenzie controllati da palazzo Balbi si è ben guardata dal farlo.

È questo quanto si evince da una nota inviata dalla stessa Miteni al comune di Trissino e al Genio civile di Vicenza (che dipende appunto dalla Regione Veneto) nel 2005. Nonché da alcuni documenti redatti da Arpav che sono in possesso di altri soggetti istituzionali. Frattanto dai piani alti della direzione generale dell’Arpa veneta a Padova trapelano i dettagli della maxi sanzione amministrativa da 3,7 milioni di euro che recentemente il Noe ha inflitto alla fabbrica trissinese ritenuta al centro del caso Pfas. Nel verbale si accusa senza mezzi termini l’azienda di avere tenuto una condotta omissiva che durava da anni.

IL PROLOGO

Tredici anni fa l’allora responsabile tecnico della Miteni, l’ingegnere Mario Fabris, invia al Genio civile di Vicenza, al quale spetta la competenza sulla gestione dei pozzi per le lavorazioni industriali, una richiesta di emungimento per alcune prese dislocate a ridosso dello stabilimento. La data d’invio è del 7 aprile 2005 e il protocollo di ricezione è il 285805 con data 19 aprile 2005. La stessa missiva per conoscenza viene inviata anche all’allora sindaco di Trissino Vinicio Perin. Siamo alla metà degli anni Duemila e l’industria dell’Ovest vicentino è una impresa seppure a rischio Seveso, come ce ne sono tante. Nove anni dopo la stessa società, nel frattempo passata dal controllo di Mitsubishi a quello del gruppo multinazionale Icig-Welchem, finirà invischiata in uno dei più clamorosi casi di contaminazione a livello nazionale. Un caso che dal 2014 investe tutto il Veneto centrale.

Ad ogni modo quella scartoffia dell’aprile 2005 sembrerebbe una normalissima pratica per ottenere una diversificata captazione delle acque di lavorazione. Se non fosse che nella lettera firmata dall’ingegner Fabris si precisa che la stessa Miteni intende realizzare una barriera idraulica, ovvero un sistema di contenimento di potenziali inquinanti. Le ragioni di tale intervento sono principalmente due: in primis la volontà di avere le carte in regola con l’ottenimento di una certificazione ambientale privata; in secundis la volontà di realizzare un’opera di mitigazione ecologica.

Questi propositi sono descritti nero su bianco in una relazione tecnica della Erm srl, filiale italiana di un colosso internazionale operante nel ramo della caratterizzazione ecologica: una relazione allegata alla richiesta che Fabris indirizza al Genio. In questo contesto la Erm precisa che «la realizzazione dell’intervento descritto nella presente relazione tecnica consentirà alla Miteni di assicurare una efficace gestione delle problematiche connesse agli aspetti ambientali del sottosuolo e delle falde acquifere». E ancora si legge: «Alla luce della vigente normativa... », il riferimento esplicito è al «decreto ministeriale 471/99», all’epoca uno dei perni della disciplina ambientale in materia, «... la Miteni ritiene opportuno avviare la realizzazione di un’opera di contenimento idraulico... in grado di impedire la migrazione di contaminanti potenzialmente presenti nella falda».

L’AGENZIA AMBIENTALE SAPEVA

Ma non finisce qui perché su su lungo la filiera delle carte che Vicenzatoday.it è riuscita a ricostruire ci sono un paio di documenti mai circolati che dimostrano che anche l’Arpav in qualche misura fosse a conoscenza della presenza della barriera idraulica. Si tratta di una missiva del 26 gennaio 2006, che la nostra testata può mostrare in anteprima e che è stata firmata dall’allora capo della direzione Arpav di Vicenza l’ingegnere Vincenzo Restaino. I destinatari di quella lettera sono la Miteni e la Provincia di Vicenza (quest’ultima peraltro raggiunta da chi scrive con una formale richiesta di accesso agli atti ha prontamente e con molto scrupolo fornito quanto di competenza). Oggetto della comunicazione è la sigillatura di alcuni pozzi riconducibili proprio alla procedura che ha portato alla realizzazione della barriera idraulica preconizzata da Miteni tramite la Erm. 

Una ulteriore traccia del fatto che Arpav sapesse di quello stato delle cose la si trova nell’allegato alla lettera a firma di Restaino. Allegato, datato 13 gennaio 2006, il quale contiene il verbale delle operazioni di sigillo dei pozzi (operazione funzionale alla realizzazione della barriera e espressamente chiesta da Miteni) firmato dai tecnici Arpav Amedeo Feriotti e Raffaele Gramegna. 

COSA SI SAREBBE DOVUTO FARE

Si tratta di carte che pesano come pietre perché dimostrano che non solo l’azienda sapesse del potenziale pericolo in cui sarebbero potuti incorrere ambiente e popolazione. Ma si tratta di carte che soprattutto dimostrano che gli enti pubblici erano a conoscenza della fattispecie. Ma dopo che il Genio e il Comune di Trissino sono stati messi a parte, che cosa avrebbero potuto o dovuto fare?

La risposta in questo caso è standard. In modo molto semplice avrebbero dovuto sollecitare quantomeno l’agenzia ambientale della Regione (che indirettamente era già informata per di più) e sottoporle il caso. L’Arpav avrebbe dovuto assumere informazioni presso la Miteni circa la produzione di sostanze chimiche nel passato e nel presente (alcuni Pfas, quelli con la maggior concentrazione non sono stati più prodotti solo nel 2013): in primis in tema di benzotrifloruri (che notoriamente già avevano contaminato la falda alla fine degli anni Settanta quando Miteni apparteneva alla famiglia Marzotto) e appunto in tema di Pfas. Avrebbe poi dovuto confrontare quei dati con una serie di analisi da realizzare ad hoc nelle matrici del suolo, dell’acqua e dell’aria. Appresso, in una con l’autorità sanitaria e coi gestori del ciclo idrico, si sarebbe dovuto cercare le sostanze (eventualmente rinvenute sotto il sedime della fabbrica o in falda) dentro gli acquedotti: per poi passare, sotto la supervisione delle autorità sanitarie, alla ricerca di questi contaminanti, i Pfas, nei cibi, nelle bevande, nei prodotti agricoli, negli allevamenti e negli esseri umani. In modo da poter scoprire, magari dopo avere adeguato strumenti e metodiche, sin dalla metà degli anni Duemila, quello che invece si è cominciato a scoprire solo a partire dal 2013-2014. Nel frattempo si sarebbe dovuto chiedere al privato di avviare la caratterizzaizone del sottosuolo. Domandarsi oggi che cosa pensino di questo ritardo i disgraziati che questi derivati del fluoro ce li hanno nel sangue a livelli talvolta «stellari» non è puro esercizio di retorica.

LE BIZZARRIE DELLA SOCIETÁ

Assolutamente bizzarro poi è il modo con cui la Miteni (in foto una protesta davanti ai suoi cancelli nel maggio 2016) giustifica, in prima battuta, (si parla sempre della lettera a firma Fabris inviata al Genio civile nell’aprile 2005) la richiesta di realizzare la barriera idraulica che dovrebbe contenere i potenziali inquinanti. Il ragionamento della ditta è più o meno questo: “Caro Genio se mi permetti di attingere acqua non più da certi pozzi ma da altri, allora io potrò usare acqua meno pregiata, ovvero più sporca, al posto di quella migliore che sto usando adesso”. Il quesito in soldoni è tutto qua. Ma come si può parlare di qualità migliore o peggiore quando in quella zona, che notoriamente è zona di ricarica di falda, la stessa falda è appunto omogenea? Se si parla di falda di alta o bassa qualità non è che c’è qualcosa nel sottosuolo che l’acqua definita peggiore la sta sporcando, alias contaminando? È possibile che Miteni allora usò questa formula per rendere meno evidente la gravità dello scenario sottostante? Ed è possibile che il personale del Genio civile, dall’alto della sua esperienza, abbia abboccato senza colpo ferire?  

IL SILENZIO NELLO SCRIGNO 

Ora al di là dei quesiti irrisolti si può dire che lo scrigno delle informazioni è rimasto chiuso troppo a lungo. Inattività, silenzio, incompetenza e con ogni probabilità la complicità di molti, hanno finito per occultare all’interno di questo forziere concettuale ogni potenziale reazione perché il caso scoppiasse ben prima di quanto poi effettivamente è avvenuto. In modo che, per esempio, si potesse intervenire per tempo sull’acqua che giunge nelle case dei cittadini. Rispetto alla quale solo di recente, ben quindici anni dopo che gli enti per la prima volta sono stati informati del potenziale pericolo, si è posto parziale riparo grazie all’aggiunta di filtri a carbone attivo posizionati nelle reti acquedottistiche contaminate. Il cui costo di riffa o di raffa finisce in bolletta.

TRA LEGALITÁ E OPPORTUNITÁ

Ora se questo corto-circuito nella catena delle decisioni abbia o non abbia avuto risvolti di natura penale potrà dirlo solo la magistratura, fermo restando che alla procura di Vicenza è in corso una ponderosa inchiesta in tal senso che presto potrebbe giungere allo snodo della udienza preliminare. Ci sono tuttavia due aspetti generali da considerare. Uno, gli enti pubblici quando vengono a conoscenza di illeciti penali o amministrativi debbono segnalare la cosa alle autorità competenti. Due, la mole notevole di materiale uscita in questi anni darà sicuramente la possibilità, a chi volesse farlo, di chiamare in causa Miteni e gli enti pubblici: sia in ambito penale (come ha già fatto Greenpeace peraltro), sia in ambito civile, magari con richieste di risarcimento danni per milioni.

LA GIUSTIFICAZIONE

In realtà durante tutti questi anni c’è chi ha provato a giustificare questo corto circuito con il fatto che fino a qualche tempo fa i Pfas non fossero tabellati, ovvero non fossero nemmeno previsti come sostanze potenzialmente nocive. L’argomento però ha una valenza giuridica inconsistente. Perché se è vero che questo ragionamento, in alcuni specifici frangenti, può avere una valenza per le acque non potabili, diversissimo è il discorso per ciò che esce dal rubinetto di casa. Dove è addirittura il codice penale a tutelare la integrità dell’acqua stessa.

LE AMNESIE DELLA COMMISSIONE PFAS

Certo è però che la commissione regionale speciale sul caso Pfas si è ben guardata dal voler sondare l’aspetto delle eventuali responsabilità dei soggetti in capo alla Regione Veneto. Nonostante il tema della introduzione della barriera idraulica fosse infatti stato in qualche modo chiamato in causa da due membri della stessa commissione (Cristina Guarda di Amp e Andrea Zanoni del Pd), l’organismo consiliare guidato da Manuel Brusco del M5S, ha deciso di non approfondire il tema della catena delle responsabilità pure a fronte di due situazioni incontrovertibili: uno, la missiva di Fabris spedita al Genio. Due, il fatto che barriera idraulica è sinonimo di bonifica. E quando c’è una bonifica in atto da parte di un privato le autorità competenti debbono essere informate compiutamente e senza ritardo sulle vere ragioni di quella procedura. Che la commissione di palazzo Ferro Fini conoscesse molto bene le conclusioni della società di consulenza Erm, lo si desume peraltro dalla relazione definitiva della stessa commissione in un passaggio a pagina 297.

RISPOSTA ELUSIVA

Sempre nella medesima relazione, a pagina 293, si trova traccia proprio di una domanda di Zanoni il quale al responsabile della sicurezza ambientale di Miteni Davide Drusian (è il 24 ottobre 2017) chiede espressamente: «Ma allora voi, quando avete acquisito l’azienda, all’interno dell’azienda avete trovato o no una barriera idraulica?». La risposta è elusiva: «All’interno dell’azienda c’erano tre pozzi posizionati a sud dello stabilimento che erano stati comunicati al Genio civile come pozzi di emungimento...». Di una richiesta di delucidazioni agli uffici regionali sul comportamento tenuto dal Genio non c’è alcuna traccia. Se si legge bene quella di Drusian è addirittura una risposta differente, almeno in parte, da quella che lo stesso Drusian dette alla Commissione parlamentare ecomafie pochi giorni prima, il 15 settembre, dopo un quesito posto dall’allora senatrice Laura Puppato del Pd: «Per quanto riguarda i pozzi A, B e C, per quello che è di mia conoscenza, sono stati comunicati al Genio civile come normalissimi pozzi di emungimento, com’era il pozzo 1. All’epoca lo stabilimento attingeva acqua solamente da un pozzo. Dopo la siccità del 2003 il pozzo 1 ha rappresentato delle crisi, ragion per cui sono stati messi in emungimento i pozzi A, B e C, che adesso costituiscono la barriera sud. La comunicazione è stata inviata al Genio civile. Questa è l’informazione che avevamo noi».

Puppato in quella occasione non soddisfatta lo incalza ancora e chiede se l’utilizzo di quei pozzi sia stato richiesto solo per attingere acqua o per finalità ambientali. E la risposta di Drusian è eloquente: «Esclusivamente come pozzi di emungimento». Da che se ne ricava che il dirigente della Miteni o aveva la memoria annebbiata o aveva le idee un po’ confuse o ha mentito spudoratamente alla commissione parlamentare: chi scrive ha chiesto peraltro all’uffcio stampa di Miteni una intervista a Drusian. Giorgio Tedeschi però, capo della comunicazione aziendale ha chiesto in anticipo il testo delle domande. Per cui la risposta di chi scrive è stata negativa giacché una condotta del genere avrebbe compromesso la necessità di un vero contraddittorio tipico delle interviste.

In buona sostanza però anche la Ecomafie in quel frangente evita di approfondire il tema della catena delle decisioni che sarebbero dovute scaturire dalla comunicazione della Erm. Il che pone una serie di ombre più o meno fosche sulla condotta del Genio civile, di Arpav e in subordine dell’amministrazione locale di Trissino. Ma anche sulla volontà della Ecomafie di volere indagare fino in fondo.

IL RUOLO DEI MAGISTRATI

È importante tenere a mente questi frangenti perché a che se ne sappia, l’indagine penale vede tra gli indagati solo i manager della Miteni, almeno al momento. Alla quale la magistratura, che indaga per presunto disastro ambientale, addebita diverse condotte omissive. Di converso va evidenziato che alcuni comportamenti da codice penale in capo agli amministratori pubblici, pur accertati, potrebbero essere non più punibili perché troppo lontani nel tempo e quindi coperti dalla prescrizione. Diverso invece è un eventuale accertamento disciplinare.

IL VERBALE DEI CARABINIERI

Se però si parla di condotte omissive occorre rilevare che di queste si trova traccia nel lunghissimo verbale che i carabinieri ambientali del Noe di Treviso, gli stessi che per conto della procura berica indagano sulla Miteni, hanno notificato alla fabbrica trissinese quando questa in luglio è stata oggetto di una sanzione amministrativa da quasi 3,7 milioni di euro. Detto alla grossa l’addebito contestato è quello di non avere informato gli enti pubblici di alcuni rapporti di prova (o referti analitici) relativi ad analisi sui reflui che il privato per legge è tenuto ad effettuare. Risultati che in taluni casi presentavano valori preoccupanti.

Il maresciallo Manuel Tagliaferri del Noe della Marca, che ha condotto l’accertamento amministrativo scrive: «Considerato che nei citati rapporti di prova emessi dalla R&C Lab srl, oggi Agrolab Italia srl e dalla Chelab srl rispettivamente negli anni 2008 e 2013 veniva rilevata un’elevatissima concentrazione di Pfoa e di Apfo... nelle acque di scarico dello stabilimento Miteni, veniva richiesto all’Arpav e al gestore della pubblica fognatura, ovvero Viacqua, di accertare se avessero mai ricevuto tali referti analitici». I due enti però, interpellati dai militari, spiegano di non avere ricevuto alcun referto da Miteni.

Così riferisce ancora Tagliaferri nel suo verbale. Nel quale in seguito si riporta che in forza della delega di Drusian quale responsabile di ambiente e sicurezza la multa viene indirizzata a quest’ultimo e in solido alla Miteni stessa. Ovvero, se l’opposizione annunciata da Miteni al provvedimento avrà esito negativo, sarà Drusian a rispondere sul piano pecuniario. E se questo non fosse in grado, vista anche l’entità colossale dell’ammenda, toccherà alla spa trissinese pagare il dovuto. Peraltro va precisato che quando i carabinieri usano termini come Pfoa, Apfo o perfluoroottanoato di ammonio, parlano di alcune categorie di composti appartenenti alla famiglia dei Pfas, i temibili derivati del fluoro al centro dell’affaire Miteni.

IL COMPORTAMENTO DELL’AZIENDA

In questo contesto non è da sottovalutare la descrizione che i carabinieri fanno della condotta tenuta negli anni dai manager dell’azienda: «... è opportuno tenere a mente che la Miteni spa a partire dal 23 luglio 2013, in taluni casi, ha inviato agli enti/organi di controllo documenti contenenti informazioni non veritiere». Si tratta di fattispecie delicatissime che gioco forza sono state o dovranno essere valutate dalla procura della repubblica che dovrà intervenire prontamente qualora ravvisasse uno o più reati. Tanto più che nel medesimo verbale, ma ciò è anche oggetto proprio della inchiesta penale, si legge che: «La Miteni negli anni 1990; 1996; 2004; 2008 e 2009 incaricò varie società di consulenza ambientale... Ecodeco ed Erm Italia di eseguire degli approfonditi monitoraggi del sito di Trissino. Tali studi evidenziarono un grave inquinamento del sottosuolo dello stabilimento... di Trissino che aveva provocato, a sua volta, la contaminazione della falda sottostante. La Miteni nel 2005, proprio allo scopo di contenere la fuoriuscita degli inquinanti verso la falda potabile, installò una barriera idraulica composta da tre pozzi e dotata di un sistema di filtrazione a carboni. Sia gli studi ambientali che l’installazione della barriera idraulica... costituente una misura di prevenzione e di messa in sicurezza... non vennero mai comunicati agli enti preposti, a dimostrazione della volontà della Miteni di non far emergere tale situazione, così da evitare gli onerosi costi per la bonifica del sito».

IL TOP MANAGER ONDIVAGO

Per vero che l’atteggiamento di Drusian sia in qualche modo ondivago lo si desume da un verbale agli atti del Comune di Trissino relativo ad un incontro di natura tecnica datato 5 febbraio 2015. In quella circostanza lo stesso Drusian spiega che la barriera idraulica sarebbe stata realizzata nel 2013 e non a partire dal 2005-2006 come già evidenziato dai documenti in possesso della Miteni, del Genio e di Arpav. Nonostante ciò i tecnici di Regione (Fabio Strazzabosco), Provincia di Vicenza (Graziano Salvadore), Giorgio Gugole (Comune di Trissino) assieme a Giancarlo Cunego, Ugo Pretto e Roberta Cappellin (tutti di Arpav) sembrano bersi tutta d’un fiato la storia distillata da Drusian. I funzionari avrebbero o no dovuto conoscere le carte agli atti? Più al cerimoniale che alla vera pratica amministrativa sembra poi improntata la dichiarazione dell’assessore all’ambiente del Comune di Trissino Gianpietro Ramina che in quella circostanza non muove alcuna obiezione degna di nota a Drusian spiegando al contempo che «riconosce l’impegno della ditta» a implementare «la barriera idraulica». 

DETTAGLI IMPORTANTI

Tuttavia, proprio in relazione alle troppe lacune che hanno interessato negli anni il caso Pfas, sia da parte dei privati sia da parte degli enti pubblici, è la stessa relazione del Noe ad affrescare un quadro che si commenda da sé: «Il fatto che il dottore Drusian... avesse deciso di non inviare agli enti il rapporto di prova da cui emergeva un’elevatissima concentrazione di perfluoroottanoato di ammonio è perfettamente in linea con la condotta omissiva tenuta per anni dalla Miteni, finalizzata a non far emergere le responsabilità del gestore in ordine all’inquinamento della falda».

Sono parole pesantissime che ancora una volta danno la cifra di un ordito che probabilmente ha interessato non solo la società, ma pure alcuni enti di controllo. E non è un caso che la stessa Arpav, interpellata a più riprese da chi scrive per avere copia del verbale del Noe depositato presso gli uffici della stessa agenzia, abbia cercato di opporsi alla consegna facendo melina, ovvero domandando, sempre a chi scrive, di riformulare una richiesta di accesso agli atti che era stata peraltro congruamente redatta. Quelle carte però dalla direzione generale di Arpav a Padova sono ugualmente trapelate. Tanto che Vicenzatoday.it ha potuto visionarle per intero venendo a sapere che nella città del Santo il verbale del Noe è giunto a fine luglio.

QUESTIONI IRRISOLTE

Rimane da capire poi coma mai Manuel Brusco, assieme all’ufficio di presidenza della commissione regionale abbia deciso, in violazione della norma regionale di specie,  di secretare il dettaglio dei verbali delle singole sedute. Una fattispecie che porta a ipotizzare che dentro quei verbali possa esserci qualche contenuto imbarazzante proprio per quei soggetti riferibili alla Regione che a fronte di un caso Pfas conclamato non si sarebbero mossi per tempo. Per contro, anche la mancanza di riferimenti di ogni iniziativa in tal senso potrebbe essere interpretata come il segnale di una inerzia tesa a coprire alcune responsabilità degli enti pubblici. Vista da questa prospettiva infatti si può temere che i destini di Regione e Arpav da una parte e quelli di Miteni dall’altra possano essere in qualche modo legati l’uno all’altro. Per cui se dovesse crollare un muro crollerebbe pure il secondo. Tanto che una domanda nasce spontanea. Ma saranno proprio gli stessi funzionari della galassia regionale che dal 2005 non si sono accorti di nulla ad incontrare il ministro all’ambiente Sergio Costa (è di area M5S a brevissimo sarà in terra veneta per toccare con mano i problemi locali in materia ecologica) per fornirgli un accurato quadro del caso Pfas? Il tutto al netto di quei funzionari che presso Arpav o le sedi degli uffici sanitari o di altri enti per anni hanno lavorato con scrupolo e intraprendenza.

     


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